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Chapter 2 - : "The Changing Crown"

"The real problem with having two heads? One dreams. The other never sleeps."

——•✧✦ Disgust II ✧✦•——

Il silenzio era sporco.

Non pulito, non sacro.

Sporco come le macchie di inchiostro secco sui fogli sparsi, come il fondo delle sue tazze da tè che ormai sapevano di cenere e legno bruciato.

Mitchell soffiò su una candela spenta per abitudine.

Poi si ricordò che era spenta davvero.

Scrollò le spalle, grattandosi la nuca, e si avvicinò al camino.

Rimestò tra le braci con un cucchiaio da minestra.

"Niente scintille, eh…"

Solo una pioggia lenta di cenere si sollevò appena, ricadendo sulle punte dei suoi stivali.

Tornò al tavolo, schivando modellini a molla, pile di schizzi accatastati come torri in rovina, e un calice vuoto che puzzava ancora di liquirizia vecchia.

Un gufo meccanico gli cadde in testa da un ripiano.

Sbatté un'ala di latta, ronzando.

"Maledetto…" mormorò, massaggiandosi la fronte.

Lo raccolse senza guardarlo, e lo rimise al suo posto tra una palla di pelle e un carillon sordo.

Si lasciò cadere sulla poltrona, facendola scricchiolare in modo familiare.

Davanti a sé, sul tavolo, c'erano una dozzina di oggetti.

Ma in quel momento, solo tre sembravano esistere:

Una tazza tiepida di tè nero freddo.

Un plico di appunti stropicciati.

Un piatto con del formaggio e un cortello.

Sbuffò, prese la tazza, ne bevve un sorso e fece una smorfia.

Amaro.

Freddo.

E vagamente salato.

O era solo il suo labbro spaccato che gli dava fastidio?

Guardo gli appunti e lesse a bassa voce:

"Caso Imperiale."

Nome: Alexander.

Titoli: Eternal Flame-Bearer of the Celestial Oath, Protector of Twelve Seals, Sovereign Architect of Balance, Chosen Vessel of the Faces Divine.

Età apparente: giovane.

Età reale: diciassette anni.

Scrollò la testa.

Una ruga gli si disegnò tra le sopracciglia, ma scomparve subito.

"E poi dicono che sono io il teatrale…"

Sfogliò un paio di pagine scarabocchiate, passò sopra note a margine e cerchi rossi troppo nervosi.

Poi trovò un foglio piegato con precisione ossessiva.

Lo aprì lentamente, tenendolo per gli angoli.

All'interno, come un insetto pressato tra le pagine, c'era un solo nome:

L'unica

Rimase lì.

Lo sguardo immobile, le labbra socchiuse.

Il dito lo accarezzava appena, come se toccare il nome fosse pericoloso.

Poi si alzò, si stiracchiò le spalle con un crack secco, e si diresse verso la libreria più alta.

Tolse una scatola piena di molle arrugginite, ci tossì sopra, e da dietro estrasse un libro avvolto in stoffa nera cucita.

Lo portò al tavolo con entrambe le mani.

Come si porta un bambino ferito.

O una bomba.

Usò il coltellino da formaggio.

Non ne aveva un altro affilato.

Tagliò i punti, e la stoffa si aprì con un suono di stoffa bagnata strappata.

Dentro, pagine scure e calligrafia contorta.

Non era una lingua di quel mondo.

Le lettere sembravano dita spezzate a metà, curve in direzioni sbagliate.

Lo aprì a pagina 364.

Sapeva già dove andare.

Lo aveva fatto prima.

Mentre l'inchiostro reagiva lentamente al contatto dell'aria, disse tra sé:

"Otto anni.

Novanta minuti a seduta.

Cinque…cento…quarantasei ore.

Con solo 1 anno di pausa.."

Un mezzo sorriso gli si arrampicò sul viso.

"Tempo che non rimpiango minimamente."

Togliendosi gli occhiali si sgranò gli occhi.

Poi li chiuse per un momento, respirando solo con il naso.

Il tè ormai puzzava di fumo e ferro.

Richiuse il libro.

Fece scorrere le mani sulle tempie, poi si coprì gli occhi con il palmo.

Dopo un lungo silenzio, sussurrò:

"Alexander…Chi sei davvero, ragazzo mio..."

Un'altra pausa.

I suoi occhi fissavano un punto oltre la finestra, ma non vedevano.

"Sei imperatore solo perché nessuno ha il coraggio di guardarti da vicino.

Se qualcuno scoprisse che non è stato riconosciuto..

verrebbe sbranato

politicamente e

religiosamente."

Trasse un respiro lungo.

Socchiuse gli occhi.

"E il fatto che questo non sia noto al popolo è tragico:

si aspettano forza..

da un ragazzo spezzato."

Sospirando inizio a sentire piccoli rumori, sbattere contro la finestra.

"Ah..

Sta iniziando a piovere.."

˜"°•.   ♪   .•°"˜

Era tardi.

Davvero tardi ormai, eppure non abbastanza.

La luce delle lanterne disegnava ombre lunghe sulle pareti della stanza imperiale.

Il fuoco nel camino era quasi spento.

Solo qualche brace ancora viva.

Ultimo si trovava in piedi, di fronte alla finestra.

Indossava una tunica scura da notte, semplice, senza ornamenti.

Il vento filtrava, attravero gli capelli muovendoli appena.

Tre serve erano entrate da poco.

Silenziose, composte.

Una portava una brocca con acqua fresca.

La posò sul tavolo senza dire nulla.

Un'altra teneva in mano una coperta piegata, che sistemò ai piedi del letto.

La terza gli rivolse la domanda, formale, diretta:

"Maestà, desiderate compagnia per la notte?"

Ultimo non si voltò.

Rimase con le mani intrecciate dietro la schiena, lo sguardo perso fuori, nel buio oltre i vetri.

"No," disse, con voce piatta.

"Potete uscire."

Le serve si inchinarono e se ne andarono, senza insistenza.

Appena la porta si richiuse alle sue spalle, Ultimo si staccò dalla finestra.

Si portò lentamente verso lo specchio grande, vicino al letto, e si fermò davanti alla sua immagine.

"Alex," disse piano.

"Sono qui," rispose la testa da sola sta volta.

"È ora."

Ultimo abbassò il mento.

Infilò le dita sotto la base del collo, nel punto esatto dove la pelle sembrava appena fusa, come una cerniera invisibile.

Fece una leggera torsione.

La testa si staccò.

Senza dolore.

Senza sangue.

Solo un suono umido, come qualcosa di troppo vivo per essere morto.

Ultimo afferrò la testa e la posò con attenzione sul tavolo, vicino alla brocca.

Alex aprì subito gli occhi.

"Stava diventando noiosa quella vista."

Ultimo si sedette davanti a lui.

"Abbiamo poco tempo."

Alex lo guardò serio, le sopracciglia leggermente sollevate.

"Parla."

Il corpo lo fissò.

"Domattina parto.

Andrò a Darveth.

Da solo.

Voglio incontrare Rahlen faccia a faccia.

Ma non posso farlo da Imperatore."

Alex inclinò appena la testa.

"E quindi?"

"Tu resti qui.

In un altro corpo."

La testa rimase in silenzio per qualche secondo.

"Fallo sembrare un tuo piano."

"Lo è."

"Davvero?"

"Avrai il palazzo.

La corte. Le udienze.

Qualcuno dovrà credere che io sia ancora qui, indeciso."

"E tu?"

"Porterò con me la corona. Se dovessi avere bisogno… potrò generare un'altra testa.

Una diversa."

Alex alzò gli occhi.

"Un'altra me?"

"No."

Silenzio.

Poi Alex disse solo:

"D'accordo. Ma non aspettarti che stia zitto."

Ultimo si voltò verso di lui.

"Non te lo chiedo.

Ti conosco abbastanza da sapere che lo farai comunque."

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