WebNovels

Chapter 3 - : "The rain belongs to those who remain"

"Non c'è niente di più triste di un mostro che cerca sempre uno specchio nuovo."

——•✧✦ Disgust III✧✦•——

Era tardi.

Anzi, era oltre il tardi.

E questa volta era perfetto.

La notte sembrava stanca, come se anche lei avesse avuto una giornata troppo lunga.

Ultimo era seduto al centro della sua stanza, nudo dalla vita in su, con la testa appoggiata sullea nucca.

Le dita cucivano.

Pazienti.

Precise.

Ago e filo passavano da pelle a carne, da carne a filo, con piccoli tic umidi.

Lo faceva illuminato da un candela, guardandosi allo specchio.

Il silenzio era rotto solo dal suono della pioggia che batteva piano sulle vetrate.

Un tamburo lento.

Ipnotico.

I lampi si riflettevano sullo specchio come smorfie di dèi annoiati.

Alex aprì un occhio.

"Ti ci vuole sempre così tanto per rimettermi addosso?

Ma poi, lo hai fatto cosi tante volte ormai..

Hai davvero ancora bisognio di luco, oppure di uno specchio?

Mi sembra di essere un vestito d'alta corte."

Ultimo non rispose subito.

Fece passare l'ago un'ultima volta, annodò il filo e poi si sollevò lentamente.

Il corpo scricchiolava.

"Faccio del mio meglio," disse infine, con voce pacata.

"Dopotutto, e quello che mi rende ancora diciamo umano.."

Poi si avvicinò alla finestra.

La aprì.

Il vento entrò forte come un ospite non invitato, portando con sé odore di pioggia, fumo umido e ruggine bagnata.

Rivestendosi, con una tunica, e un cappotto col cappuccio di pelle.

Ultimo abbasso le spalle.

"Bella.. la pioggia.." mormorò.

Alex sospirò piano.

"Ehh sì...

Sai, la odio tutti, la pioggia.

Si coprono, si stringono, corrono.

Come se l'acqua potesse farli sparire.

E invece a me… a me fa sentire vivo."

"Perché?"

"Perché nessuno cerca di essere speciale sotto la pioggia.

Si pensa solo a sopravvivere.

E lì, tra l'indifferenza e la fuga degli altri…

…io sono il rimasto

come se a volerla ammirare, sentire, oppure anche solo conoscere.."

"Quasi come un Re di un mondo bagnato."

Alex sorrise.

"Re di ciò che resta, quando tutti scappano.

Anche se io, in realta sono un imperatore sai.

Beh.. piu a meta che intero attualmente.."

Un tuono lontano, lungo e sordo, vibrò nel cielo.

Ultimo si voltò.

"Allora… andiamo."

Alex spalancò gli occhi, sorpreso.

"Davvero? Così?

Nessun discorso eroico, nessun 'sei pronto'?

Ti stai rammollendo."

Ultimo fece un passo sulla cornice della finestra.

Era alta.

"Beh, dopotutto sono io quello che agisce senza persare troppo no?"

Sospirando la testa. "Non ci sarà tempo per i discorsi.

Una volta che saro rimasto da solo sai.."

E si buttò.

Ultimo urlò, più per forma che per paura, mentre la testa sobbalzava leggermente sul collo, le cuciture ancora fresche.

Sotto di loro, la pioggia sembrava aprirsi come una tenda teatrale.

Caddero per due, tre piani… poi TUNK.

Atterrarono malamente sul tetto di una torre più bassa, una biblioteca secondaria — con i coppi vecchi e scivolosi, il muschio sulle grondaie e un lucernario rotto che sembrava l'occhio stanco di un gigante.

Ultimo rotolò una volta, poi si fermò, disteso.

Alex rideva.

"Lo rifarei altre dieci volte.

A parte per il fatto che mi sono piegato come un origami bagnato."

Ultimo si tirò su con un gemito, poi si sedette, la pioggia che gli colava sulla schiena come dita gentili.

Dal tetto si vedeva molto del cortile interno, e anche le stanze illuminate della reggia.

In una, sul balcone di un'ala laterale quasi vicina, abbastanza da vedere, c'era una ragazza.

Giovane, di carnagione scura, occhi attenti e capelli raccolti, prattici per lavori manuali.

Portava una veste semplice, ma aveva movimenti lenti.

Alex si fece serio.

Gli occhi stretti.

Concentrato.

"Lei è interessante…"

"Una serva?"

"Per ora sì.

Ma guarda come tiene la candela: non la protegge dalla pioggia.

La espone.

Come se volesse essere vista."

Ultimo sollevò un sopracciglio.

"Non penserai…"

"Shh. Guarda."

Un ragazzo si avvicinò dal fondo del corridoio, tenendo in mano una lanterne a vetro.

Era bagnato fradicio, che tuttavia sembrava piu nobile, che pero tremava come una foglia.

Avrà avuto vent'anni, ma gli occhi parlavano come se ne avesse visti quaranta.

Lei non indietreggiò.

Lui si avvicinò ancora.

Poi si inginocchiò.

Così.

Sotto la pioggia.

Con la testa bassa.

La voce non si sentiva da lì, ma Alex la immaginava con precisione chirurgica.

"Eccolo lì.

Il dramma.

Il fratello dell'uomo che l'ha ingravidata.

E ora le promette amore eterno, nonostante tutto.

Che splendida tragedia."

La ragazza scosse il capo.

Fece un passo indietro guardando il buoio eterno.

Poi si voltò verso il ragazzo inginocchiato.

Le sue labbra si mossero, spargendo umidita derivata dalla piogga.

Una risposta.

Silenziosa, ma definitiva.

Lui si alzò.

Le prese le mani.

Poi la baciò.

Un bacio lungo.

Disperato.

Che tuttavia venne subito rifiutato e spinto via, facendo cadere entrambe le lampade..

Avvolgendoli nel oscurita.

Alex batté le mani piano.

"Che spettacolo.

Vedi? La pioggia non cancella… mette a nudo."

Ultimo si strinse le spalle, ridendo.

"Non mi aspettavo di assistere a un'opera privata stanotte."

Alex si sporse appena, guardando giù.

"Se non fosse che dobbiamo dissotterrare nostro padre, quasi resterei qui…"

Ultimo fermo il corpo.

Per un istante, serio.

"Ti fa così piacere?"

Alex tornò a fissare la pioggia.

"No.

Ma è meglio di niente.

E almeno… sotto la pioggia, nessuno può vedere.."

Silenzio.

Si alzarono con lentezza, guardando verso est.

E fu allora che accadde.

Un suono — sottile, quasi umano — graffiò l'aria.

Prima il fruscio di stoffa, un rumore ruvido, tremante, come tessuto bagnato che slitta su pietra umida.

Un colletto? Un lembo di veste? Si trascinava sulla balustrata.

Poi uno schiocco secco: qualcosa aveva perso l'appiglio.

Una scarpa che batte contro un muero? Un gomito, un ginocchio?

Il vento si placò, come in ascolto.

La pioggia rallentò — non smise, ma sembrò sospesa tra due respiri.

Il corpo scivolò giù.

Uno, due secondi o 5 secondi

L'aria non portava un urlo.

Niente.

Come se la voce si fosse impigliata in gola, o assorbita dalla pioggia.

Allora venne il passaggio tra i rami: secchi, umidi, carichi d'acqua.

Scricchiolii, poi crack, poi un fruscio veloce che sembrava un sibilo.

Qualcosa — un ramo, una mano — strappò una manciata di foglie.

Un suono umido, molto molle, spezzato.

E poi il tonfo maggiore.

Grave.

Carne contro terra.

Un suono piatto e profondo, come un sacco pieno caduto da un tetto, ma con qualcosa dentro che si spezza e disperdeva.

E poi più niente.

Solo il rumore della pioggia che riprendeva.

Come se il mondo avesse tenuto il fiato solo per quella scena.

E nessuno dei due, nella singola entita si mosse o si voltò.

Nessuno disse una parola.

E ciò che era stato umano e mezzo, ora giaceva in fondo, carcassa, disfatto e immobile.

˜"°•.   ♪   .•°"˜

Un ombra inzuppata, tuttavia di due figure sopra i tetti, erano invisibili nella pioggi.

Si muovevano verso l'ala est, dove una piccola scala di un tempio appariscente, portava in basso, sempre più in basso, verso le tombe imperiali.

La pioggia continuava a battere, insistente.

Il palazzo, intorno a loro dormiva.

O almeno faceva finta.

L'ala est era silenziosa.

Lo era nel modo in cui lo sono i templi religiosi.

Piena di suoni sussurrati, di respiri lunghi, di gocce che cadono da soffitti troppo antichi per ricordare da dove.

Ultimo camminava con passo lento, capuccio abbassato, e ogni goccia di pioggia che gli colava dai capelli. sembrava battere il tempo.

Alex, ben cucito, indossava dei occhi stanchi.

"Inizia a puzzare qui sotto," mormorò.

"Sarà la sacralità, o i morti."

"Entrambi," rispose Ultimo, sollevando appena il mantello per non trascinarlo nella polvere.

Davanti a loro, lasciando impronte umide sulla superfice secca, si trovava un lungo corridoio scolpito nella pietra leggermente umida, psoto dove sedevano dodici monaci.

Erano scalzi,scarpe affianco e le mani unite in preghiera, e gli occhi chiusi davanti a un muro inciso da simboli storti e linee nervose — come se qualcuno avesse cercato di rappresentare il caos con troppa precisione.

Non alzarono lo sguardo subito.

Poi, uno dei tre lo fece, ma solo per via dei passi avvicinarsi.

Gli occhi si spalancarono come quelli di un bambino che riconosce una favola.

"È lui…" sussurrò.

Lentamente, i dodici si alzarono.

Si inginocchiarono subito dopo, le teste piegate, ma senza ostentazione.

Poi, a passi silenziosi, altri monaci uscirono dalle nicchie.

Erano dieci. Poi venti.

Tutti inginocchiati.

Un mormorio cominciò a serpeggiare tra loro, tenue ma costante.

"Il Signore ci protegge…"

"…è lui, lui davvero…"

Alex sollevò un sopracciglio, sussurrando tra i denti.

"Okay, devo ammetterlo:

ricevere inchini è sempre meglio di prendere ordini."

Ultimo non rispose.

Dopottuto solo 1 dei due poteva parlare quando in conpagnia di non fidati.

Ma attraversò il piccolo santuario di pietra con passo fermo, il rumore delle sue suole che calpestavano l'acqua stagnante coperto solo dal respiro collettivo della devozione pregante.

Poi, alla fine del corridoio, trovò una piccola scalinata in marmo nero, scolpita con frasi arcaiche.

Ai piedi della scala, due guardie, in armatura cerimoniale.

Dietro di loro, un arco pesante di pietra grigia: Le Cripte del Sole Morente.

Le guardie lo riconobbero subito.

I loro occhi si allargarono.

"Maestà?"

"Cosa—?"

Uno di loro fece un passo avanti, mettendo appena una mano sull'elsa.

"Perdonate la domanda, ma… siete solo?

E siete bagnato… siete stato ferito?

È successo qualcosa?"

Ne Ultimo o Alex risposero subito.

La tensione crebbe.

La seconda guardia sussurrò qualcosa all'orecchio della prima.

Poi alzò la voce:

"Il castello è stato attaccato, vero?"

"Abbiamo sentito il vento cambiare, e il corvo delle torri ha smesso di cantare…"

"…Siamo pronti, Maestà.

Diteci chi dobbiamo uccidere."

Ultimo alzò una mano, calma.

"Siete le guardie imperiali, non indovini."

Silenzio.

"Sono solo venuto a vedere mio padre."

"Maestà…"

"Fate troppe domande."

Fece un passo avanti, tuttavia parlo Alex.

"Non è successo nulla.

Muovetevi!"

Le guardie si guardarono.

Poi si fecero da parte, in perfetta sincronia.

Ultimo scese.

˜"°•.   ♪   .•°"˜

L'aria era ferma, ma piena.

Come se respirasse qualcosa che non doveva essere svegliato.

Il corridoio delle cripte imperiali era largo e pieno di nicchie.

Ognuna conteneva un sarcofago diverso: marmo, ferro battuto, pietra nera, vetro imperiale…

Ogni bara aveva un nome inciso, una data, e un sigillo.

Ma c'erano ragnatele ovunque.

Insetti ciechi correvano tra le crepe.

Il suono costante dell'acqua che gocciolava ricordava un orologio impaziente.

L'odore era una miscela di muffa, sangue secco e rassegnazione.

"Che allegra compagnia…" commentò Alex.

Ultimo si fermò davanti a una bara più semplice delle altre.

Marmo bianco, bordi consumati, lettere pulite.

"Jarel III, Padre dell'Equilibrio, Scudo di Sangue, il Terzo Sole."

"'Certo che era un uomo semplice.."

Alex rise.

"Gli danno i titoli migliori quando muoiono no?"

Ultimo restò in silenzio.

Si inginocchiò.

Il silenzio era spesso, come uno strato di sabbia sulla lingua.

Poi parlò.

"Eri diverso, ma soprattuto gentile.

Non eri fatto per la corona.

Ma almeno… amavi noi."

Pausa.

"E io invece…"

Alex mormorò:

"…la porto come un cappio di velluto."

Ultimo toccò la pietra della bara.

"Ci ha separati da vivi.

Ci ha rifiutato.. per debolezza."

Si alzò.

"E ora… viviamo così.

Un corpo, due facce.

Un trono e una finestra."

Si chinò, cercando il punto d'apertura.

Le dita cercarono il bordo.

Ma non si mosse.

Alex si fece più attento.

"C'è un lucchetto."

Premette, poi tirò.

Niente.

Inizio a graffiare, e a calciare.

"Bloccata. Ovviamente."

Alex fece schioccare la lingua.

"Serve naturalmnete una chiave."

Ultimo guardò la tomba.

"Mi serve tuo corpo, padre."

"E non posso aspettare che il regno si autodistrugga per chiedertelo con gentilezza."

Silenzio.

Alex sospirò.

Con una pietra affianco, iniziarono a sbatterla e provare a spezzare il luchetto.

More Chapters