itolo 1: Il Contratto Bianco
Beatrice si girò lentamente, l'abito da sposa un bozzolo di seta e tulle che non le
apparteneva. Le mani della sarta erano state leste e professionali, i commenti della madre,
ora fuori dalla suite, a dirigere la sinfonia del caos pre-matrimoniale, superflui e carichi di
un'eccessiva, innaturale gioia. Aveva appena compiuto diciotto anni e tre mesi, un'età che
per le sue coetanee significava patenti, università, feste sulla spiaggia. Per lei, significava la
fine di ogni possibile primavera. Significava Mark.
Lo specchio a figura intera le restituiva l'immagine di una statua. Era bella, lo sapeva. I
capelli castani sciolti in onde morbide, la pelle di porcellana che il trucco leggero esaltava.
Era il suo ultimo giorno da Bea, la studentessa, la sognatrice di vite semplici. Domani
sarebbe stata Beatrice Rossi-Markwell, un nome che suonava come un'ipoteca sul futuro.
Si avvicinò alla finestra della suite panoramica che affacciava sul lago di Como, luogo scelto
dal futuro marito per la sua indubbia eleganza. Era una cornice da favola, ma Bea sentiva
solo la griglia dorata della sua prigione. No, si corresse mentalmente. Non era una
prigioniera. Era un investimento.
Tre mesi prima l'odore di cuoio e sigari nel vasto studio del padre «Beatrice, siediti.
Dobbiamo parlare di cose serie.» La voce di suo padre, l'industriale Alessandro Rossi, era
sempre stata un ordine, mai una richiesta. Bea, fresca di diploma e con la testa piena di
messaggi scambiati con le amiche, si era seduta con il sospetto che si trattasse di un'estate
in qualche noiosa clinica per imparare il galateo. «Il Gruppo Markwell sta per fondersi con il
nostro. Un colosso che eliminerà ogni concorrenza. Markwell è un genio, un vero visionario.
E vuole...» Suo padre si era sistemato gli occhiali, la voce improvvisamente più sommessa.
«Vuole un legame di sangue, un vincolo che cementi questa operazione per sempre.» «Un
vincolo? Vuole che diventi la sua segretaria personale?» aveva scherzato Bea. Suo padre
l'aveva guardata con una serietà che le aveva gelato il sangue. «Vuole sposarti, Beatrice. La
tua dote è la fusione patrimoniale e lui non vuole solo il capitale. Vuole l'immagine di una
famiglia unita. Vuole una moglie giovane e irreprensibile, e tu sei perfetta. Non avrai
restrizioni, Bea. Potrai fare quello che vuoi, andare dove vuoi, vivere nel lusso. Non sarai
una prigioniera, ma la Signora Markwell.» «Ma io... io amo Paul!» aveva mormorato, la voce
spezzata. «Paul è un cameriere nel ristorante di terza categoria di sua madre, Beatrice. Non
è una vita. Questo è il dovere. Farai quello che devi per la famiglia.» Il tono di suo padre non
ammetteva repliche. Era una sentenza. L'aveva liquidata con una carezza sulla testa, come
si fa con un cane ben addestrato.
Una mano le toccò la spalla facendola tornare al presente. Era sua zia, con gli occhi lucidi e
la bocca tremante per l'emozione. «Sei bellissima, tesoro. Sarai la sposa più invidiata
d'Italia. Mark è un uomo d'oro.» D'oro e di ventidue anni più vecchio, pensò Bea con un
groppo in gola. Un sarcofago di lusso.
Mentre si avviava verso l'uscita della suite, il suo cuore batteva un ritmo frenetico, misto a
panico e a una strana, quasi masochistica curiosità. Sapeva tutto di Mark Markwell: l'impero
finanziario, gli investimenti geniali, l'assenza di scandali, l'eleganza sobria. Ma non aveva
mai, mai incrociato il suo sguardo.
L'auto la portò lungo il viale decorato con migliaia di rose bianche. La villa, storica e
imponente, era stata trasformata per l'evento. Era un luogo di bellezza mozzafiato, ma per
Bea era il patibolo.
L'attimo prima di varcare la soglia, suo padre le sussurrò all'orecchio: «Ricorda, Beatrice. La
nostra intera vita è legata a questo momento. Sorridi.»
Lei sorrise. Era un sorriso che non le apparteneva.
Quando entrò, accompagnata da una musica solenne che rimbombava nel salone
affrescato, tutti gli sguardi si posarono su di lei. Ma il suo cercò solo l'uomo in piedi davanti
all'officiante civile, l'uomo che era diventato il suo destino.
Mark Markwell era un'opera d'arte. Non un uomo. Era alto, slanciato, e il completo blu notte
era tagliato con una precisione scultorea. I suoi capelli erano di un biondo scuro
impeccabile, gli zigomi affilati. Ma erano gli occhi a colpirla. Erano grigi come l'acciaio,
profondi e penetranti, e la fissavano senza ombra di emozione. Non c'era amore, non c'era
gioia, solo un'attenta, fredda valutazione. Era innegabilmente bello, di una bellezza che
urlava potere e inaccessibilità, e quel contrasto con la sua repulsione per la situazione la
fece vacillare. Era il diavolo in una veste sartoriale perfetta.
Mentre si avvicinava, la folla svanì. Riusciva a sentire il fruscio della seta sul pavimento di
marmo e il battito martellante nelle sue tempie. Arrivata a destinazione, suo padre le prese
la mano, un gesto di possesso prima che di affetto, e la passò a Mark.
L'impatto fu scioccante. La mano di Mark era calda, solida e non esitante. Non un brivido. La
strinse con una presa formale, quasi professionale, come si stringe la mano a un socio in
affari. Era la stretta di un contratto, non di un futuro marito. Mark non le sorrise. Le fece un
impercettibile cenno del capo, un muto «Siamo qui» senza alcuna affabilità.
«Benvenuta, Beatrice,» sussurrò Mark. La sua voce era bassa, profonda e aveva una
risonanza che non ammetteva repliche. Per un istante fugace, mentre incrociava quegli
occhi di ghiaccio, Bea si chiese se dietro quella maschera di perfezione si nascondesse un
uomo. E si chiese quanto tempo le ci sarebbe voluto per scoprirlo, se mai ci sarebbe
riuscita.
La cerimonia iniziò. Il destino di Beatrice era sigillato, non dal sentimento, ma dal suono
metallico e finale di un cognome scambiato
