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Chapter 6 - The first sign

Una volta ripresa la marcia, tornò anche quel silenzio soffocante che dominava il deserto senza fine.

L'evento precedente aveva scatenato nel cuore del giovane un miscuglio di sentimenti contrastanti — paura, stupore, curiosità — emozioni che, in verità, non gli erano del tutto nuove.

Era come se ogni granello di sabbia avesse assorbito una parte del suo turbamento, restituendoglielo in ogni passo, in ogni respiro.

Kaelis viaggiava a passo regolare, talvolta persino lento in certi tratti. Ovviamente, ciò che era accaduto lo aveva destabilizzato; ecco perché, pensava il ragazzo, procedeva così cautamente.

In effetti, la guardia di Kaelis non sembrava abbassarsi mai. Ogni suo gesto era misurato, ogni movimento attento, come se da un momento all'altro potesse accadere qualcosa di ancora più terribile di ciò che avevano già vissuto.

Il ragazzo, da quando era arrivato in quel mondo, non aveva praticamente avuto nessuna lunga conversazione con nessuno.

In realtà, non era mai stato un tipo di molte parole: spesso preferiva il silenzio, e più che dar aria alla bocca, amava riflettere.

Si perdeva nei pensieri — nel passato, nel presente, nel futuro — e si divertiva a giocare con la propria mente, analizzando ogni frammento di ciò che era e di ciò che sarebbe potuto essere.

Eppure, in quel momento, sentiva quasi il dovere di rompere quel silenzio, di provare a scambiare almeno due parole con quell'uomo incappucciato di cui, ancora, non aveva visto il volto.

Kaelis stava attraversando un grande masso. Non era un passaggio particolarmente pericoloso, ma il terreno uniforme e instabile rendeva difficile mantenere l'equilibrio.

Il ragazzo, senza pensarci troppo, decise di parlare.

«Certo che questo deserto è davvero immenso, vero?» disse, con un tono leggero, quasi incerto.

Non aveva pensato molto alle parole: voleva soltanto parlare un po', con una piacevole leggerezza.

Ma la sua brama di dialogo non venne accontentata.

Kaelis proseguì il cammino in silenzio, senza neppure voltarsi, come se le parole del ragazzo si fossero dissolte nel vento.

Il giovane capì che non si trattava di un uomo semplice.

Forse avrebbe dovuto insistere, trovare un punto preciso su cui far leva per costringerlo a parlare. Ma non conoscendolo, non poteva sapere quale.

Da quando avevano iniziato il viaggio, Kaelis gli aveva rivolto solo poche frasi brevi e dirette, soprattutto nei momenti di pericolo, mai di più.

Eppure, c'era qualcosa che fino a quel momento era sfuggito alla mente del ragazzo — una domanda tanto ovvia quanto profonda.

Una domanda che lo tormentava sin dal primo istante in cui aveva aperto gli occhi in quel mondo sconosciuto, e che, per una ragione o per l'altra, non aveva mai trovato il coraggio di pronunciare.

Ora, però, non poteva più trattenersi.

Si schiarì la voce, e con un tono più serio domandò:

«Dove siamo?»

L'uomo, quasi ormai sul punto di scendere dal grande masso, che stavano percorrendo da ore, si fermò.

Si voltò lentamente verso il ragazzo. Il cappuccio nero gli copriva quasi interamente il volto; si intravedevano soltanto la bocca e un leggero spicchio del naso, giusto il necessario per poterlo definire un uomo — o, almeno, qualcosa di simile.

Rimase immobile per qualche istante, scrutandolo. Poi, finalmente, parlò.

«Questo mondo si chiama ᛁᛏᚨᛚᛁᚨ,» disse, la voce profonda e calma.

«O almeno così lo chiamavano gli antichi.

Oggi è conosciuto semplicemente come Italya.»

Le parole dell'uomo colpirono il ragazzo come un'eco limpida. Non sembravano celare secondi fini né ambiguità: erano sincere, dirette.

Eppure, qualcosa non tornava.

Perché Kaelis non gli aveva mai detto nulla prima?

Perché proprio ora, con quella naturalezza quasi disarmante?

Il ragazzo non ebbe il tempo di riflettere a fondo su quel dubbio, e incalzò subito:

«Va bene, grazie per l'informazione… ma ora dove stiamo andando?»

Kaelis non rispose.

Si voltò nuovamente e riprese la marcia, senza una parola.

Il ragazzo, credendo di aver detto qualcosa di sbagliato, affrettò il passo per raggiungerlo.

Dopo qualche minuto, Kaelis raggiunse il ciglio del grande masso e si fermò. Il giovane lo imitò, e quando si trovò al suo fianco, restò senza fiato.

Il masso era molto più grande di quanto avesse immaginato: una montagna colossale, la cui cima si perdeva tra la sabbia e la luce.

Kaelis, con voce profonda, parlò di nuovo:

«Mi chiedi dove stiamo andando, curioso di saperlo.

Ma non ti chiedi invece in quale parte di Italya ci troviamo.

Ti ho trovato nella Città dell'Inizio, e credevo che almeno sapessi dove fossimo, o che ne avessi un'idea. Ma a quanto pare, non è così. Italya è una terra immensa, e forse è il momento che tu inizi a capirlo.

Laggiù, ai piedi di questa montagna, si trovano le rovine ᚠᚨᛊᚢᛚᛚᛖ — resti dimenticati di una civiltà perduta.»

Le molteplici informazioni affollarono la mente del ragazzo, che rimase in silenzio, incapace di rispondere o porre altre domande.

Kaelis aggiunse infine, con tono più basso:

«Per ora ci accamperemo poco prima del precipizio. È meglio riposare prima di scendere.

Riposati, ragazzo. Domani ci attende una grande fatica.»

Il giovane annuì. I due prepararono la tenda e accesero un piccolo fuoco, utilizzando le provviste che Kaelis portava nello zaino.

Non era una cena con i fiocchi, ma era quanto bastava per sopravvivere. Il ragazzo, ormai abituato a quella frugalità, restò seduto a osservare la fiamma crepitare, mentre la mente tornava a ronzargli come un alveare inquieto.

Dopo un lungo silenzio, parlò.

«Non so che fare,» disse, con voce stanca, fissando il fuoco.

«Sono arrivato qui per caso. Certo, era il mio obiettivo, ma non sapevo a cosa andavo incontro.

Fino ad ora le cose sono state fin troppo semplici, e questo mi terrorizza.

Cosa succederà d'ora in poi?

Sarò in grado di reggere? Di resistere a ciò che mi aspetta?»

Mentre parlava, abbassò lo sguardo sul cibo, mescolandolo lentamente con il cucchiaio di metallo.

Kaelis non sollevò la testa, ma dopo qualche istante rispose, con voce ferma:

«Non puoi saperlo.

E allora perché te ne lagni, e perché te ne fai una colpa?

Non conosci ancora le leggi di questo mondo — e di questo me ne assumo ogni responsabilità.

Ma se sei venuto qui, c'è un motivo. Ogni cosa accade per un motivo.

È questa la legge che governa ogni mondo, visibile o invisibile.»

Poi si alzò, piegò lentamente il mantello e si voltò verso la tenda.

Prima di entrare, aggiunse:

«Buonanotte. Domani, spero che le cose ti saranno più chiare.»

Il ragazzo lo osservò chiudersi dietro la tela, poi tornò a fissare il fuoco.

Le fiamme danzavano come spettri arancioni, riflettendosi nei suoi occhi stanchi.

Avvertiva dentro di sé una sensazione nuova, una miscela di incertezza e speranza.

Infine, sospirò.

Spense con calma il fuoco, si infilò nella tenda e si distese sul giaciglio improvvisato.

Fuori, il vento del deserto tornò a soffiare piano, trascinando via ogni suono, tranne il battito lento e costante di qualcosa — forse reale, forse no — che sembrava pulsare sotto la sabbia, nelle viscere di Italya.

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